Grazie, Presidente, per la parola; saluto i miei colleghi e colleghe onorevoli. Inizio il mio intervento con tre parole chiave: impotenti, stordite, interdette. È così che certamente si sono sentite e continuano a sentirsi moltissime donne; non serve tentare di nascondersi dietro un dito e bisogna dire le cose come stanno: sono condizioni, quelle dette, vissute da migliaia di donne almeno una volta nella vita, ma non basta, ad alcune va anche peggio, sono state o sono ancora vittime di distruzione fisica, psichica ed economica. Tra loro una parte è sopravvissuta, un'altra non è più con noi. Tra le vittime c'erano donne, cisgender, transessuali, lesbiche, eterosessuali, nere, bianche, asiatiche, ispaniche; alcune di loro, come Saman Abbas, hanno subito a causa di estremismo religioso, altre, come Vanessa Scialfa, mia concittadina, a causa dell'ossessione del partner; altre ancora perché si concedevano o perché non lo facevano. Era stato detto loro che non potevano ribellarsi, che erano la parte debole, che erano ininfluenti; purtroppo, avevano ragione. Erano così, perché non gli era consentito di essere altro.
Voglio ricordare, come già hanno fatto le mie colleghe, che durante l'anno corrente in Italia sono state 82 le vittime di omicidio volontario, molte di queste uccise da mariti, partner, fidanzate, fidanzati o ex tali, figli o genitori; 12.200 sono le donne che hanno denunciato per stalking; quest'ultimo, peraltro, è un dato estremamente viziato, se consideriamo le donne che non sono riuscite a denunciare.
In questo quadro, gli interventi retorici sono stati molti e l'impianto legislativo è stato spesso coerente. La Convenzione di Istanbul, le norme anti stalking, anti revenge porn, sono tutte misure bellissime sulla carta, ma che non sono state accompagnate dai fondi necessari ad applicarle compiutamente in tutte le nostre regioni. Anche gli aumenti di pena si sono rilevati assolutamente inefficaci per l'assenza di adeguati interventi mirati al cambiamento culturale e alla formazione di tutti i cittadini rispetto al valore della vita umana; il tutto aggravato da una visione di insieme assolutamente ristretta, spesso miope, dinanzi a questioni dirimenti come la disparità salariale, la dipendenza economica e i diversi meccanismi che impropriamente vengono correlati ai fattori come l'identità di genere, l'etnia, l'orientamento sessuale, la posizione sociale e il contesto culturale delle vittime.
Si tratta di meccanismi che quasi sempre limitano fortemente la possibilità di denuncia e rendono infruttuosa l'applicazione delle misure di contrasto. Aumentare le pene può andar bene, ma non ha alcun senso se, parallelamente, non si prevedano percorsi che aiutino le donne a trovare i mezzi per allontanarsi da chi le perseguita, rendendosi economicamente e affettivamente indipendenti dagli aguzzini. La stessa permanenza in carcere di quest'ultimi non ha senso se non è accompagnata da un percorso che faccia comprendere al reo il disvalore delle sue condotte; i percorsi rieducativi e il ruolo delle carceri non possono e non devono essere secondari. Da questo punto di vista, alcuni passi sono stati fatti, ma evidentemente non sono bastati.
Mi rivolgo a voi tutti presenti in Aula con un invito a rimetterci in gioco, a rivedere tutto quello che non va, ad aggiustare il tiro se è necessario, a mettere in discussione tutto quello che è stato fatto finora e rivedere quello che va rivisto, potenziare quello che va potenziato.
Se vogliamo migliorare i nostri piani di intervento, dobbiamo ascoltare le vittime. Lì fuori, ognuna di loro ha una storia struggente da raccontare e sono proprio loro che possono dirci dove intervenire e in che modo farlo, sono loro che possono spiegarci quali sono i mezzi di cui avevano bisogno e che non gli sono stati forniti. Vi invito ad aprire le porte di quest'Aula, udire le loro storie, vivere i loro dolori e guardare a questo mondo con i loro occhi, vi invito a visitare insieme i centri antiviolenza. Dobbiamo essere aperti e pronti a difendere le vittime e noi stessi potenzialmente esposti agli stessi rischi, dimenticando ideologie e colori politici.
In ultimo, non posso non rivolgere un particolare invito a tutti i colleghi uomini, a non dimenticare da dove proveniamo, a non dimenticare le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre figlie. Il cambiamento culturale parte anche dagli spogliatoi, dalle sale da gioco, dalle stesse vostre comitive: voltarsi dall'altra parte ci farebbe diventare complici. Pertanto, sono certa che tutti i colleghi qui presenti esprimeranno il loro assenso a questa mozione.